Floriana Risuglia
Negli ultimi anni è esploso il fenomeno del c.d. vino “naturale”, anche se quando si parla di questa tipologia sarebbe buona norma inserirlo in un virgolettato. Spiego immediatamente il perché. Sotto l’aspetto squisitamente giuridico, si può affermare – senza tema di smentita – che il vino c.d. “naturale” non esiste, per una serie di motivi.
Non esiste perché non rientra in alcuna delle categorie di prodotti vitivinicoli previste dal Regolamento UE 1308/2013. Non esiste e non può esistere perché il medesimo Regolamento vieta espressamente di commercializzare prodotti che non rientrino in tali categorie. Più avanti vedremo anche perché non si può inserire in etichetta il termine oggi sotto esame.
Ma allora cos’è questo c.d. vino “naturale”? Il consumatore medio di questo prodotto, nella stragrande maggioranza dei casi, lo identifica come un vino prodotto secondo i criteri biologici o biodinamici (e anche qui ci sarebbe da aprire un capitolo, dato che spesso i due termini – impropriamente – vengono confusi e ritenuti identici. La produzione di vino biodinamico si basa essenzialmente su principi filosofici, con calendari lunari ed altri antroposofismi Steineriani, ben lontani da criteri scientifici che, invece, si applicano al vino biologico).
Da un sondaggio effettuato per una tesi di laurea sul tema (M. Nitri, 2024), è emerso come la percezione del concetto di vino “naturale” sia associata a diverse caratteristiche, tra cui spicca, per la maggior parte degli intervistati, l’idea che si tratti di un vino senza solfiti aggiunti. Secondo altri si tratta di un vino fermentato spontaneamente, oppure viene associato ad un’idea di artigianalità (vino fatto come si faceva una volta) o considerato sostenibile. Con riferimento alle certificazioni, emergono i seguenti dati: alcuni credono che debba avere la certificazione VinNatur, altri ritengono che debba avere la certificazione Demeter. Il tema delle certificazioni richiederebbe ampia trattazione, ma è bene precisare che tanto nel primo, quanto nel secondo caso ci troviamo in presenza di marchi di proprietà di associazioni, cui si ritiene di aderire volontariamente e liberamente. Demeter è un’organizzazione che ha creato degli standard per la lavorazione di alimenti utilizzando uno specifico disciplinare. VinNature ha creato una sorta di decalogo condiviso dalle svariate associazioni di produttori di vino c.d. naturale. Ma né il vino biodinamico, né quello c.d. naturale sono regolamentati a livello europeo.
In sintesi, il vino c.d. naturale viene considerato e percepito dal consumatore come: senza solfiti, a fermentazione spontanea, artigianale, biologico, genuino, non filtrato, non chiarificato, salutare, sano, sincero, pulito.
Il consumatore ritiene, inoltre, che il vino “naturale” venga prodotto con interventi chimici e tecnologici ridotti al minimo, anche durante il processo di vinificazione, adoperando solo lieviti indigeni e, per questi motivi, verrebbe reputato come un vino più sano e salutare e “che non fa venire il mal di testa”. Sull’aggettivo “chimico” potremmo chiamare fior di scienziati ed enologi a discettare; su tutti il Prof. Luigi Moio secondo cui: “Un lievito selezionato non ha niente di chimico, non ha niente di strano, è un lievito naturale che è stato isolato dagli altri presenti in natura e caratterizzato.”
Sempre il Prof. Moio (Doctor wine, giugno 2024) ricorda quanto l’attenzione sia molto focalizzata sui solfiti aggiunti e poco, invece, sul problema degli elevati livelli di acetaldeide: una sostanza volatile estremamente reattiva, responsabile dell’odore tecnicamente detto di “ossidato” nei vini (tipo mela ultramatura o marcia), che deriva da processi fermentativi e ossidativi. Un aspetto della produzione di cui si parla poco ma che, invece, comporta conseguenze non trascurabili, non solo dal punto di vista organolettico, ma anche dal punto di vista della salubrità dei vini.
Lasciando ai tecnici l’ambito enologico e tornando nel nostro ambito giuridico, c’è anche da considerare gli “health claims”, cioè le indicazioni nutrizionali e salutistiche, disciplinate dal Reg. UE 1924/2006. I claims salutistici sono quelli che mettono in relazione un nutriente o un alimento con un effetto fisiologico benefico e con la prevenzione di alcune malattie.
Abbiamo visto che secondo recenti studi, i consumatori percepiscono il vino c.d. naturale come “gustoso, genuino, sicuro, salutare”. L’attributo della “naturalità”, poi, amplifica la percezione positiva nei confronti di un alimento. I consumatori che mostrano interesse per una sana alimentazione e che preferiscono cibi genuini sono maggiormente influenzati dalle informazioni presenti sull’etichetta e tendono a preferire prodotti definiti “naturali” (Grunert et al. 2018)
Secondo la Direction Generale de la Concurrence de la Consommation et de la Repression des Fraudes, la menzione «Vin Nature» non è ritenuta conforme alla legislazione europea: in particolare all’art. 53 del Reg. 33/2019 che disciplina le “Indicazioni che si riferiscono a determinati metodi di produzione”.
Nel 2021, in risposta ad un quesito pervenuto alla Commissione sulla possibilità di utilizzare i termini “vino naturale” o “vino metodo naturale”, la Commissaria Europea per la Salute e la Sicurezza alimentare ha specificato che il termine “naturale” non fa parte delle indicazioni nutrizionali e sulla salute previste dal Reg. UE 1924/2006 e che, in mancanza di una normativa comune a livello europeo, qualora venisse adoperato l’aggettivo “naturale” esso sarebbe considerato come informazione volontaria e, come tale, soggetta alle condizioni del Reg. UE 1169/2011 (Fornitura Indicazioni al Consumatore): il Regolamento prevede che le informazioni su base volontaria non devono indurre in errore il consumatore, non devono essere ambigue o ingenerare confusione. Tale terminologia, quindi, è stata ritenuta ingannevole (misleading) perché potrebbe indurre il consumatore a credere che il “vino naturale” o fatto secondo metodi “naturali” appartenga ad una categoria più sana e migliore rispetto ai vini cosiddetti convenzionali.
Ed ecco spiegato perché è difficile (se non impossibile, ma a me è successo…) trovare un’etichetta che riporti la scritta “vino naturale”.
Dalle risultanze delle ricerche eno-giuridiche che ho effettuato sull’argomento, sono riuscita a trovare un unico appiglio normativo nel Diritto Canonico, cioè il corpo di leggi formulate dall’autorità ecclesiastica che regolamenta la Chiesa cattolica, secondo cui il vino adoperato per la liturgia il “deve essere naturale, del frutto della vite e non alterato”. Il vino non deve essere unito con altre sostanze e dovrà essere conservato in perfetto stato affinché non diventi aceto; per tale motivo la presenza di solfiti è ammessa in quanto essi sono considerati agenti conservanti e non ne alterano la composizione. Con buona pace (e bene) dei “naturalisti” di tutto il mondo.
Floriana Risuglia è Avvocato Cassazionista, specializzata in Diritto Vitivinicolo, Docente di Diritto Vitivinicolo, consulente aziende vitivinicole, membro AIDV, commissione Diritto Vitivinicolo COA Roma, Vicepresidente UGIVI, Docente ONAV e Delegata ONAV Roma, Vicedelegata Donne del Vino Lazio.