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Vision 20/30: digitalizzazione e grandi campioni nazionali. Il futuro italiano si gioca su questi campi

16 dicembre 2021

(di Elisabetta Tosi) La digitalizzazione sarà obbligatoriamente uno dei driver di sviluppo del vino italiano per vincere le sfide dei prossimi anni. Il lavoro del think tank “Vision 20/30” presentato a VeronaFiere non lascia adito a dubbi di sorta. I suggerimenti al riguardo del documento finale sono chiare: «Alla luce della forte accelerazione dei processi di trasformazione digitale anche  all’interno del comparto vitivinicolo, allo stato attuale risulta indispensabile “contaminare” le aziende del vino con competenze che vengono da altri settori; attivare percorsi formativi dedicati alla digitalizzazione nelle imprese; definire strategie comunicative “specializzate” sul fronte digitale (per evitare la classica trasposizione analogico-digitale); analizzare il vero ruolo degli influencers “digitali”; accelerare lo sviluppo della “banda larga” anche nelle aree rurali; sviluppare fiere ed eventi b2b “virtuali” ed inserire le azioni “digitali” nell’ambito delle misure di finanziamento  (OCM vino, Psr, ecc.) ed, infine, facilitare la realizzazione di un numero maggiore di shop online aziendali(anche attraverso Reti di impresa) al fine di garantire una maggiore conoscenza della profilazione dei clienti consumatori (con i conseguenti vantaggi in termini di strategie di mkt e commerciali mirate).

E’ questo uno dei nodi da affrontare già nei prossimi mesi da Vision 20/30, ovvero il  futuro del vino da qui al 2030 come se lo immaginano i suoi protagonisti: produttori grandi e piccoli, aziende private o cooperative, rivenditori, consulenti, comunicatori. Una riflessione collettiva che in mesi di discussioni interne ha preso in esame con molto pragmatismo tutti gli aspetti del complesso mondo vitivinicolo italiano, con i suoi punti di forza e di debolezza.

Ne è scaturito il manifesto “Vision 20/30” che formula soluzioni e suggerisce  alle cantine azioni immediate,  offrendo spunti per rafforzare la strategia di sviluppo del sistema vitivinicolo italiano senza escludere il tema caldo della crescita dimensionale attraverso la finanza e una nuova stagione di acquisizioni (peraltro prevista anche dal legislatore con sgravi fiscali). Il lavoro però è appena iniziato: il tavolo di discussione resta aperto, e chiunque voglia dare un contributo è invitato a parteciparvi, inviando un messaggio dal sito www.vision2030.wine.

I dati di partenza sono quelli elaborati da WineMonitor di Nomisma: il vino italiano è cresciuto molto, ma la Francia resta inavvicinabile: gli ultimi dati vedono i cugini crescere nell’export del 27% a quota 11,1 miliardi€; noi cresciamo del 14% (proseguendo una crescita pluriennale senza i problemi avuti dai francesi negli Usa negli ultimi tempi) a 7,1 miliardi€: un record, ma non è sufficiente. Resta troppo basso il prezzo medio del nostro vino (quello imbottigliato quota 3,76€/litro contro i 6€/litro dei cugini) e la nostra presenza all’estero è focalizzata al 63% su cinque mercati di cui 4 europei  mentre il vino francese nei suoi cinque mercati principali vede due colossi asiatici e risulta molto più “internazionale”.

«Diciamo che oggi manchiamo di coraggio. Quando andiamo all’estero, trasmettiamo messaggi diversi, non riusciamo a trovarne uno comune – sottolinea Ettore Nicoletto, CEO di Angelini Wines & Estates, uno dei principali promotori di Vision 20/30 –  Abbiamo provato a cercarne uno: il vino italiano é duttile. Si abbina molto facilmente al cibo. Se volessimo dargli un hashtag diremmo che è #foodfriendly, è un elemento imprescindibile della dieta mediterranea, un fattore di convivialità, di socialità. In un momento in cui viene demonizzato perchè prodotto alcolico, noi dobbiamo far passare il messaggio che in realtà è elemento di uno stile di vita salutare, se preso con moderazione e abbinato al cibo. E la gastronomia sta diventando sempre più importante anche presso le nuove generazioni»..

Minacce esterne a parte, uno dei grandi fattori di debolezza del mondo vinicolo italiano, eterno secondo in termini di valore alle spalle della Francia, è anche la sua estrema frammentarietà, sia in termini di produttori, che di denominazioni e di scelte di export.

L’Italia gode di una ricchezza e varietà di produzioni vinicole che non ha eguali al mondo, ma se guardiamo ai numeri dell’export, quasi la metà del vino arriva da due sole denominazioni: Prosecco e Pinot Grigio. La Francia, al contrario, può poggiare su quattro vettori: Champagne, Bordeaux, Borgogna e Alsazia. Insomma, Francia – Italia 4 -2. E’ questo è un enorme limite alla crescita.

Anche la scelta dei mercati di destinazione finora è stata molto limitata: «Ci sono quasi 200 Paesi aderenti alle Nazioni Unite, e noi andiamo principalmente nei soliti quattro o cinque, dove ci sono già anche i nostri concorrenti e trascuriamo quelli dove il made in Italy viene invidiato ed incensato» rimarca Marcello Lunelli, vicepresidente del Gruppo Lunelli che aggiunge: «Il mondo ci invidia un sacco di cose, e il vino é il denominatore comune del nostro patrimonio. Siamo un unicum all’interno del panorama mondiale, perchè siamo la nazione del bello, facciamo cose buone, uniche, fatte bene grazie alla nostra artigianalità. All’estero dovremmo trovare il modo di essere più riconoscibili in quanto italiani, e si dovrebbero indurre i consumatori a scegliere di bere italiano perché, banalmente, è il più cool di tutti».

E a proposito di consumatori, esteri e non, quando si spostano in Italia in genere diventano enoturisti: «Oggi l’enoturismo è una leva strategica importante per una cantina; esiste, ma non viene ancora sfruttato a dovere – spiega  Camilla Gianazza, senior manager della società di consulenza Jakala – Anche se c’è la volontà di aprirsi al visitatore, ancora troppe cantine perdono l’occasione di ottenere dati sui loro stessi consumatori/visitatori. L’e-commerce non si sostituisce al negozio fisico, gli si affianca, aprendo nuove possibilità di contatto con il consumatore. Così come le fiere virtuali non si sostituiscono a quelle in presenza, ma le amplificano».

L’attuale pandemia ha accelerato il passaggio delle cantine alle vendite online – il dato del commercio on line è evidente nella grafica qui sopra – ma non c’è dubbio che chi aveva iniziato a farlo prima dell’esplosione dell’emergenza sanitaria è partito avvantaggiato rispetto a chi si è deciso a farlo all’ultimo minuto. Inoltre vendere online presuppone obiettivi diversi e diverse strategie: «Rispetto all’e-shop personale della cantina, il marketplace permette maggiore capillarità di diffusione, con vantaggi logistici simili a quelli della grande distribuzione: é una strategia più di volume – prosegue Camilla Gianazza  – . L’e-shop, con i suoi diversi servizi (come il wine club) permette una maggiore personalizzazione dei contenuti, dei messaggi: in questo modo l’ azienda arriva a conoscere meglio i suoi consumatori finali».

E questi ultimi, sempre più spesso, sono giovani: categoria nel cui impiego l’Italia è ultima in classifica. «Sembra che in Italia non esistano dati sul livello di occupazione giovanile nel mondo del vino – sottolinea Massimo Tuzzi, a.d. di Terra Moretti .- Noi sappiamo di quali competenze abbiamo bisogno. Quando si parla di fare uno stage in cantina, si pensa sempre al marketing o all’enoturismo, ma abbiamo bisogno anche di figure tecniche: di agronomi, enologi, di esperti nel controllo di gestione, di esperti di finanza, eccetera. I settori in cui intervenire sono tanti». Tanti fronti aperti, insomma, ma uno solo è l’obiettivo: scrivere un futuro di successo per il vino italiano. Dentro e fuori l’Italia.

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