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2024, un Vinitaly di svolta.

Lorenzo Biscontin

Arrivo tra gli ultimi a trarre le somme del Vinitaly conclusosi la scorsa settimana perché ho voluto pensare alle tante cose viste, sentite e lette durante la fiera e nei giorni immediatamente seguenti.

La sintesi delle mie impressioni è il titolo di questo articolo e deriva da tanti segnali diversi, che vado ad analizzare di seguito.

Abbiamo la cabina di regia del vino italiano, si chiama Vinitaly.

Da quanti anni sentiamo dire che il vino italiano ha bisogno di una cabina di regia? Minimo 10, però in questo decennio non si è riusciti ad andare oltre le buone intenzioni. Approfondirne le ragioni sarebbe lungo e, oggi, sostanzialmente inutile perché adesso questa regia c’è ed è Vinitaly – Veronafiere.

Che Vinitaly fosse il marchio in grado di rappresentare il vino italiano è evidente già dal nome. Altrettanto chiaro come il suo ruolo di fiera di riferimento per il settore a livello internazionale ne facesse comunque un attore chiave in qualsiasi ipotesi di struttura/scenario/strategia.

Quello che non si era ancora compiuto in pieno era la presa di consapevolezza da parte del management di Vinitaly Veronafiere di potere/volere/dovere (scegliete voi il verbo che preferite giocare questo ruolo. Fino a tempi recenti la crescita di Vinitaly si era sempre fermata all’interno dell’ambito di fornitore di servizi fieristici.

Va dato atto all’attuale dirigenza di Veronafiere ed a tutto lo staff di Vinitaly del passo fatto per andare oltre alla “semplice” fiera e, come dichiarato dal Presidente Bricolo in occasione della presentazione di Vinitaly 2024 al Parlamento Europeo, “Vinitaly in questi ultimi due anni ha costituito, per la prima volta, la squadra unitaria per la promozione del vino italiano mettendo a fattor comune il know how del brand con quello del Governo, dei Ministeri dell’Agricoltura e del Made in Italy, Ambasciate, enti e strutture di promozione – Ice Agenzia in primis – attivando un’agenda sempre più fitta di condivisione con i player del settore su scala mondiale”.

I risultati si sono visti durante questa edizione di Vinitaly oltre gli ottimi numeri (97.000 visitatori, di cui oltre 30.000 dall’estero), nella coesione ed energia del sistema vino che si respirava quest’anno a Verona.

Gli operatori si sono resi conto che il mondo è cambiato.

Il mondo del vino è cambiato già da ben prima del COVID, basta pensare al segnale rappresentato dal boom degli spumanti nell’ultimo decennio, ma il sistema nel suo complesso ha potuto far finta di non accorgersene e continuare a crescere utilizzando con il solito modello di business.

Al Vinitaly 2024 si è visto un settore cosciente che senza un cambiamento dell’approccio al mercato è a rischio non solo la crescita, ma la stessa sopravvivenza di ampie fasce di operatori.

Rispetto al recente passato non c’è solo la condivisione rispetto alla necessità di cambiare, ma anche sull’urgenza di farlo. Speriamo che questa volta ci sia anche il coraggio per passare dalle intenzioni ai fatti.

Cambiamento degli stili di consumo.

Uno dei principali fattori che ha portato alla presa di coscienza della necessità di cambiamento è sicuramente il calo di consumi a livello mondiale.

Se il calo della Cina, le cui importazioni si sono ridotte di un 1/3 rispetto al picco del 2012, ha contribuito in modo sostanziale alla crisi del vino rosso, il vero campanello d’allarme sono stati i due anni consecutivi di riduzione dei consumi sul mercato USA.

Riguardo a questo problema il sentire comune è la necessità di recuperare il consumo delle fasce di consumatori più giovani, ma questo potrebbe rivelarsi un falso scopo.

Le ricerche sul mercato americano mostrano come l’età a partire dalla quale il vino diventa la bevanda alcolica preferita è 60 anni (Silicon Valley Bank Wine Industry Report) e, per restare in Italia, le analisi dell’ISTAT sul consumo di alcolici mostrano che nelle fasce sotto i 60 anni prevale il consumo occasionale.

Detto in altri termini la narrazione del vino come bevanda da esperti non allontana solo gran parte dei consumatori più giovani, ma ha già allontanato anche ampie fasce di consumatori di mezza età.

Usando le parole di Michele Antonio Fino “il vino deve tornare ad essere una bevanda piacevole da bere, non un esame da superare.”

Vini dealcolati.

Probabilmente il tema più dibattuto al Vinitaly di quest’anno. La questione in realtà è piuttosto semplice dal momento che si tratta di una produzione già regolamentata a livello comunitario e quindi è condivisibile la richiesta delle istituzioni che rappresentano le cantine di poterlo produrre in Italia.

Nella situazione attuale infatti l’unico risultato è quello di dealcolare il vino italiano all’estero, con maggiori cisti e perdita di valore aggiunto.

Sarebbe sbagliato però pensare che i vini a basso o nullo contenuto di alcol siano la soluzione dei problemi (di consumo) del vino. Non esiste un’unica panacea e tra i cambiamenti culturali che dovrà fare il settore c’è anche quello di abbandonare l’attuale omogeneità della proposta.

La comunicazione del vino infatti è attualmente appiattita sugli stessi valori (artigianalità, tradizione, storia, ecc…) sia che si tratti di una cantina da poche decine di migliaia di bottiglie sia che se ne producano milioni.

Per cogliere in pieno il potenziale dato dalla varietà del vino è necessario che questa varietà venga espressa nelle diverse proposte di marca, quindi non solo nella comunicazione, ma anche nelle caratteristiche del prodotto.

Oggi i ragionamenti del settore sui profili sensoriali dei vini si basano sulle indicazioni dei wine lovers, ovvero dei consumatori appassionati. La mia raccomandazione è di ascoltare anche le persone che oggi sono consumatori occasionali di vino, perché è questo il pubblico che vogliamo recuperare e le loro richieste, anche in termini di gusto, potrebbero essere diverse. Appuntamento a Vinitaly 2025 per vedere quanta dell’energia di quest’anno è stata convertita e come.

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