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Verticale de La Selvanella, il cru di Cantina Melini (GIV) che compie cinquant’anni

12 aprile 2023

(di Elisabetta Tosi) Ci sono vini che, come alcune persone, non dimostrano mai l’età che hanno. Il Chianti Classico Riserva “Vigneti La Selvanella” della cantina Melini del Gruppo Italiano Vini è uno di questi. La degustazione organizzata per festeggiare il suo primo mezzo secolo, ha dimostrato che il passare del tempo è una sfida che questo Chianti Classico non teme. Merito degli uomini che lo fanno, ma anche e soprattutto di una combinazione di microclimi, suoli ed esposizioni particolarmente favorevole.

La Selvanella è infatti un cru che si estende su poco meno di 140 ettari nell’omonima località del  Comune di Radda in Chianti. Di essi solo 50 ettari sono vitati e coltivati a sangiovese: le viti si trovano ad altitudini diverse, tra i 350 e 600 metri e crescono su almeno tre diversi tipi di suolo.  “La Selvanella è una collina che gode di molta ventilazione e molta luce tutto il tempo dell’anno – ha spiegato l’agronomo della tenuta, Marco Viciani –  I vigneti abbracciano tutta la collina, e si estendono dalla base alla cima. La base ha un suolo ricco di argilla, che trattiene l’umidità, mentre salendo si incontra il galestro, un suolo povero di argilla. Per questo nelle annate più calde il sangiovese che si esprime meglio è quello che si trova nei vigneti più bassi: il contrario di quello che accade nella annate umide, dove i risultati migliori lo danno i vigneti più  alti”.

Le annate deputate a ripercorrere 50 anni di storia di questa Riserva del Chianti Classico sono state scelte la più recente (2019) e poi, a ritroso nel tempo, la 2006, la 1995, la 1986 , la 1971 e infine la 1969. Aldo Fiordelli, noto giornalista enogastronomico toscano ha tirato le fila dell’assaggio, dialogando con il general manager della tenuta Alessandro Zanette, con l’agronomo Viciani e l’enologo Francesco Bruni e con lo chef Andrea Menichetti,  titolare del ristorante “Da Caino” in prov. di Grosseto: perchè, se ogni vino è figlio della sua annata, lo stesso può dirsi del cibo che lo accompagna.

“Il Chianti Classico é un territorio meraviglioso, molto eterogeneo per altitudini, suoli, esposizioni – ha esordito Alessandro Zanette – Il sangiovese coltivato in questa zona da’ espressioni molto diverse. La nostra tenuta si trova nell’area più vicina ai monti, dove il clima più fresco da vini più acidi e meno tannici, piuttosto austeri, ma anche più longevi”. “La Riserva La Selvanella è un’etichetta storica, che ha sempre mantenuto una sua coerenza di stile, diversamente dallo stesso disciplinare di produzione del Chianti Classico, che è cambiato almeno due volte – ha commentato Aldo Fiordelli – E’ un vino che ha anticipato i tempi odierni, dimostrando che la scelta di fare un Chianti con del isangiovese in purezza era quella giusta”.

Il Chianti Classico Riserva “La Selvanella” 2019 è figlio di un’ annata climatica fresca, con una primavera tardiva. Al naso si avvertono perciò note balsamiche e di erbe aromatiche dell’orto, con un accenno floreale di viola e di fiori secchi. In bocca si presenta nervoso, molto secco, asciutto, con una buona acidità.

Del 2006 si ricorda l’estate luminosa e molto calda, seguita da un settembre più fresco. Il vino in questo caso si presenta un po’ più evoluto, con sentori di cuoio e funghi secchi, estremamente bilanciato in bocca, ancora fresco, lungo e pulito. “Nel 2006, la cucina era influenzata dalle complicazioni tecniche della Spagna, dove imperversano le spume e l’uso dei sifoni – ha detto  lo chef Menichetti – In Italia si fa una cucina fin troppo leggera, e in Toscana una ancora legata alla tradizione. Con questo vino perciò vedrei bene i nostri ravioli all’olio addensato, con pomodoro fresco e capperi”. Un piatto che a suo tempo aveva meritato al suo ristorante un prestigioso premio internazionale per la cucina all’olio di oliva.

Anche la Riserva 1995 è figlia di un’annata fresca. I profumi ricordano il tabacco chiaro, il cuoio, un accenno di china, la radice di rabarbaro, mentre in bocca è sempre molto secco, lungo, ma con una struttura più esile del precedente. “Dagli anni ‘90 in poi iniziano le varie rivisitazioni – ha ricordato Menichetti – Sono anni in cui si cerca di alleggerire le ricette, usando l’olio al posto del burro, e in cui inizia una maggiore ricerca sui prodotti. Nella cucina toscana si assiste al ritorno delle paste lunghe, come il lombrichello al vino rosso”.

La Selvanella 1986 presenta un colore sempre più evoluto, tendente al rosso granato. Dal bicchiere escono profumi netti di prugna secca e rabarbaro, mentre in bocca è sempre molto diretto, secco, coerente, e ancora vivace. “In cucina c’è panna ovunque – commenta lo chef – Questi sono anche gli anni in cui i ristoranti imitano la nouvelle couisine francese. Per la Toscana, gli anni ’80 sono stati quelli dell’evoluzione delle paste ripiene. Piatto simbolo di questo periodo sono gli gnudi , con la borragine o con ricotta e ortica”

Mentre  il color mogano della Riserva 1971 e i profumi decisamente terziari denunciano tutta la sua età, e forse una bottiglia non particolarmente felice,  l’ultimo vino della batteria  è una magnifica sorpresa: “Il 1969 è stata una grande annata, ma come tale è stata riconosciuta solo più tardi – ha detto l’enologo Bruni – In questo caso, una piccola percentuale di acido malico ancora presente dona al vino freschezza ed equilibrio. Nei 50 ettari di vigneto ci sono 31 parcelle, e noi fin dall’inizio  le vinifichiamo e affiniamo separatamente, perchè ognuna di esse si comporta in modo diverso. Per questo non esiste un protocollo di vinificazione standard per questo vino, perché di anno in anno ci adattiamo all’uva che raccogliamo”. L’ultimo vino della degustazione ha profumi terziari evoluti e sentori di prugne secche, noci, tamarindo, rabarbaro: il gusto è di un vino sfaccettato, molto equilibrato, con una acidità ancora vibrante. Un Chianti Classico Riserva che non delude le attese.

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