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Sono stato a cena da Signorvino: chapeau!

Lorernzo Biscontin

Confesso che non sono un grande frequentatore di Signorvino (a mia discolpa non c’è un loro punto vendita a Trieste) e non ci ero mai stato a cena.

L’altra sera trovandomi da solo a dover cenare a Verona, il Signorvino in Corso Porta Nuova ad un passo da Piazza Bra mi è sembrata una buona soluzione. “Se non altro” – mi sono detto – “troverò un’ampia scelta di vini al bicchiere”.

L’esperienza è stata estremamente piacevole, superiore alle aspettative, ed ho trovato alcune soluzioni/proposte che mi sembrano interessanti in termini generali. Le racconto di seguito, insieme a qualche spunto di miglioramento perché la perfezione non è di questo mondo, ma cercare di raggiungerla porta sicuramente a migliorare.

COSA MI E’ PIACIUTO

I sorrisi.

Lo so che è banale, ma non così ovvio. Sono stato accolto da un sorriso al ricevimento e dalla cameriera che mi ha fatto accomodare al primo piano dopo un minuto di attesa.

Importante perché la ristorazione appartiene al settore dell’ospitalità.

Il calore dell’ambiente e della mise-en-place.

Anche qui potreste dire che non è niente di eccezionale, ed avreste ragione. Secondo me però questo elemento è il tipico esempio di dissatisfier secondo la teoria di Herzerbg, ovvero quegli elementi la cui presenza non è in grado di motivare attivamente (soddisfare), ma se mancano causano insoddisfazione.

L’ampiezza della carta dei vini.

Va bene, ovvio. Però comunque è giusto citarlo (vedi sopra).

La doppia opzione per la quantità di vino al bicchiere.

Qui cominciamo con le cose effettivamente innovative: il cliente può scegliere se bere un calice da 0,10 cl o da 0,20 cl.

Un modo per permettere al cliente di assaggiare più vini contenendo la spesa.

Anche un modo concreto di praticare il concetto di consumo moderato e responsabile che invece troppo spesso rimane un semplice enunciato astratto.

Il bicchiere con le due graduazioni garantisce il cliente e semplifica il lavoro dei camerieri.

Per i membri del Signorvino Club Il prezzo della bottiglia al tavolo è uguale a quello della bottiglia per asporto.

Questo mi è piaciuto particolarmente perché mi ha ricordato la mia vecchia battaglia per convincere i clienti della ristorazione a fare una carta dei vini con il prezzo della bottiglia per asporto e per consumo al tavolo (di fatto un “diritto di tappo”) quando la semplificazione legislativa del 1998 ridusse le tabelle del commercio da 14 a 2: alimentare e non alimentare.

La considerazione che c’era dietro è che il ristorante è un luogo ideale per assaggiare un vino e quindi comprarsene una bottiglia da portarsi a casa.

Non sono riuscito a convincere nemmeno un cliente, molto probabilmente perché non sono riuscito a convincere davvero nemmeno un collega delle vendite né gli agenti.

Trovare una soluzione simile nella carta di Signorvino mi rincuora che forse vent’anni fa non ero proprio matto …

Le mezze porzioni per i dolci.

Da golo trovo sempre il posto per concludere una cena al ristorante con il dolce. Ci sono però le volte che anche per me è uno sforzo. Prevedere le mezze porzioni sul menù aiuta a trovare un compromesso tra il piacere e il dovere (di ridurre le calorie).

Il catalogo delle confezioni natalizie sul tavolo

Un concetto che di business che mi è sempre piaciuto è “make your money work harder”, ovvero sfrutta i tuoi investimenti al massimo. Se vi sembra ovvio, dopo più di trent’anni che lavoro nelle aziende potete credermi se vi dico nella pratica non lo è.

Si avvicinano le feste, tutti stanno pensando a che regali fare e quindi mettere i cataloghi delle confezioni regali sui tavoli dei ristoranti è una classica operazione “poca spesa tanta resa”.

La ciliegina sulla torta sarebbe stato indicare la possibilità di fatturare separatamente i singoli componenti con ventilazione d’iva facendoli rientrare nell’importo totalmente detraibile per i clienti aziendali, ma qui entriamo nel tecnico.

COSA MI HA LASCIATO NEUTRO

In un primo momento pensavo di mettere queste due cosa tra quelle che mi sono piaciute, ma poi dite che sono troppo di manica larga …

Il menù sul QR Code.

Era diventato la standard durante il periodo del COVID, poi un po’ dappertutto si è tornati alla tangibilità dei menù stampati o al calore di quelli detti a voce dal cameriere.

Però il QR Code è comodo e soprattutto coerente con l’immagine di modernità/contemporaneità del posizionamento di Signorvino.

In più rende la vita più facile ai camerieri, migliorando il servizio al cliente.

La possibilità di pagare dal tavolo.

Altro vantaggio del QR Code: da Signorvino potete pagare anche dal tavolo con il cellulare, così se avete fretta o non vi piacciono le attese evitate la cosa alla cassa.

COSA SI POTREBBE MIGLIORARE (SECONDO ME)

Il coperto a 3 euro.

Quell’euro (o mezzo) euro in più preso singolarmente sembra non spostare molto, però è una voce che normalmente non si guarda. Salvo poi ritrovarsi con 12 euro inaspettate nel conto se eravamo in 4 al tavolo.

La carta dei vini al bicchiere.

Non si può dire che siano pochi, però io da Signorvino mi sarei aspettato un scelta un po’ più ampia, considerato poi che nello stesso locale c’è anche il wine bar.

L’Asti Dry inserito tra gli spumanti nella carta dei vini al bicchiere.

Dal punto di vista tecnico niente da dire, ma metterlo insieme a Champagne e metodi classici brut e prosecchi extra dry (ottima la presenza di un Cartizze extra dry) rischia di confondere il cliente meno preparato.

Secondo me meglio metterlo tra i dolci.

Lo sconto del 10% per l’iscrizione al Signorvino Club poco evidenziato.

Il database marketing è uno strumento nell’era della turbocompetizione e il 10% di sconto è un vantaggio appetibile. Peccato però che sia poco, o nulla evidenziato sulla carta dei vini, nel menù digitale e sul sito.

Il Signor caffè.

L’idea è ottima, è la realizzazione che mi ha deluso.

Mi spiego. Sul menù c’è la foto di un espresso+bon bon di gelato+cioccolatino. Una proposta perfetta per concedersi una coccola dolce se uno non vuole prendersi il dessert.

Il problema è che poi è arrivato senza il cioccolatino. Il buon marketing è quello che supera le aspettative del cliente, qui si sono deluse le aspettative che si erano create. Un piccolo autogol facile da evitare.

Se la proposta perfetta del fine pasto è un film che mi sono fatti io, correggete la foto del menù. Se invece l’obiettivo era proprio quello, migliorate la formazione del personale.

UN CONSIGLIO NON RICHIESTO (MA GRATUITO)

Questa è un’altra mia vecchia battaglia persa. Visto il bel approccio che ho trovato da Signorvino, la scrivo qua.

Il momento del fine pasto nel corso degli anni è diventato difficoltoso per fattori che potremmo definire esogeni: il dessert per questioni caloriche, l’amaro/digestivo/liquore/distillato per la tendenza alla riduzione del consumo di alcol (sia per scelte personali che per il codice della strada).

L’esigenza di concludere il pasto con un cambiamento sensoriale rispetto ai sapori delle pietanze però non è venuta meno. In altre parole c’è un potenziale bisogno/desiderio insoddisfatto.

Io credo nella capacità dei vini dolci di soddisfare questa domanda potenziale. Vanno però proposti in modo da creare un’esperienza. Ad esempio con una mini degustazione 3 paste frolle o, meglio, di 3 di cioccolati diversi (in formato napolitain). Lo so che i sommeliers inorridiscono all’abbinamento del vino con il cioccolato, ma tutte le volte che ho organizzato una degustazione di questo tipo le prenotazioni hanno sempre superato i posti disponibili e non si è mai lamentato nessuno.

Concludo con l’aspetto fondamentale per un ristorante: ho mangiato bene, scegliendo da un menù sfizioso e con porzioni più che soddisfacenti.

La prossima volta proverò anche i dolci.

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