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Pinot grigio e cambiamenti climatici: la via nordestina al nuovo che avanza

Davanti ad un cambiamento climatico che c’è ed è chiaramente avvertibile, il Pinot Grigio delle Venezie – ovvero la prima superficie vitata di questo vitigno al mondo –  pensa a come attrezzarsi per mantenere una sostenibilità “olistica”: ambientale, economica, sociale. Lo fa chiamando a Trento il Gotha della ricerca e della programmazione italiana. E il messaggio che ne esce è, contrariamente a quanto ci si sarebbe potuto aspettare, non è catastrofico: le prospettive per crescere ancora e bene ci sono  tutte, il cambiamento va affrontato senza paura.

E’ vero che il vino affronta la “tempesta perfetta” – dai  dazi al calo dei consumi – ma il Pinot Grigio delle Venezie è sulla buona strada. Parola di Luca Rigotti, presidente del Consorzio delle Venezie: «Siamo sulla buona strada perché ci siamo posti per tempo il tema della sostenibilità. Il fatto che tutto il Trentino e buona parte della nostra denominazione abbia la certificazione Sqnpi testimonia come questo sia stato il nostro principale impegno. Il nostro Pinot grigio è un vino dall’alto valore etico – per l’attenzione all’ambiente, al contesto sociale, alla tutela del paesaggio, alla moderazione dei consumi ed all’impegno verso un minore contenuto alcolico – ed è l’orgoglio di noi produttori. Credo che il consumatore percepisca tutto questo anche se ancora molto possiamo fare sulla narrazione di questi valori.

Non abbiamo lesinato sulla sperimentazione – aggiunge Rigotti – ad esempio sullo studio dell’inserimento dei vitigni Piwi, nella quota ammessa dal disciplinare, per ottimizzare le performance complessive del Pinot grigio in termini di sostenibilità. Intendiamo governare la sostenibilità anche economica nel lungo periodo e poco importa se questo comporta magari, oggi, qualche sacrificio nel conto economico. Ma anche questo ci sta, in una visione di lungo periodo».

Nell’articolato dibattito – moderato da Costanza Fregoni, direttrice di WQ – è emerso il percorso possibile per il Pinot grigio del futuro. Luigi Bavaresco, docente di Scienze agrarie all’Università Sacro Cuore di Piacenza, elenca più  azioni: «Partiamo dalla volontà di mantenere “questo” Pinot grigio e “questo” territorio. Bisogna iniziare ad esplorare la variabilità varietale, fare un lavoro nuovo di ricerca sui tanti cloni di questo vitigno e studiarne le reazioni ad un ambiente che cambia. In Italia conosciamo 22 cloni del pinot grigio, un’altra ventina in Germania, altri in Francia e negli Usa…vanno studiati di più e vanno scelti quelli che più si adattano al nuovo clima. Assieme ai cloni vanno studiati i portainnesti per migliorare l’adattabilità delle piante a climi più estremi. In Italia abbiamo alcune importanti ricerche in corso e non siamo all’anno zero.

Terzo step, i Piwi nelle percentuali ammesse dal disciplinare. Possono dare un contributo importante nell’ottica di resilienza di questo vino. Infine, un’attenzione nuova al territorio: dobbiamo prevedere di portare i vigneti più in alto e di creare le condizioni, penso a nuovi invasi, per combattere lo stress delle piante nelle situazioni più siccitose».

Attenzione marcata anche verso nuovi lieviti che contribuiscano a realizzare vini meno alcolici naturalmente senza passare dalla fase di de-alcolizzazione. Molto dovrà cambiare anche nella legislazione e nella regolamentazione del comparto vino. Molte delle strategie pensate per il passato andranno cambiate, in qualche caso, totalmente rivoluzionate. Ma il Pinot grigio delle Venezia rivendica quanto fatto e prende un nuovo impegno – soprattutto verso il suo territorio – per il futuro.

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