17 febbraio 2023
di Lorenzo Biscontin
Nel 1978 Assobirra, l’Associazione dei produttori italiani di birra, lanciava la campagna pubblicitaria collettiva “Birra … e sai cosa bevi” con Renzo Arbore come testimonial. Campagna proseguita con diversa intensità e sui diversi media (stampa, radio e televisione) fino al 1991.
In molti si ricorderanno la headline “Meditate gente, meditate!”, tra questi ci sono anch’io che nel 1978 avevo 15 anni. Ai tempi la birra si beveva praticamente solo con la pizza e d’estate come bevanda “dissetante”.
Oggi esiste in Italia una cultura della birra che disquisisce di origini, stili, materie prime, artigianale vs industriale, ecc…. Una cultura del prodotto che ha reso la birra una bevanda ubiquitaria adatta ad ogni stagione, contesto e momento di consumo.
Non ho dati oggettivi, ma non credo di azzardare eccessivamente nel dire che buona parte dell’attuale cultura della birra sia nata da quella campagna di comunicazione.
La birra era evidentemente conosciuta anche prima sul mercato sia come prodotto che come marchi (basta pensare a Peroni) e sicuramente quella campagna ha tirato la volata anche a birre straniere che ne hanno beneficiato senza sostenerne i costi (si chiama effetto free-rider).
Tutte cose che gli associati di Assobirra sicuramente sapevano, ma hanno comunque valutato che per allargare il consumo fosse necessario innanzitutto modificare la percezione delle persone sulla birra come categoria di prodotto, piuttosto che comunicare solamente i propri marchi. Detto in altre parole hanno preferito spendere i propri soldi per una campagna generica per ingrandire la dimensione assoluta della torta più che per cercare di ingrandire la dimensione relativa della propria fetta.
Una scelta a cui i numeri danno ragione considerato che i consumi di birra in Italia sono aumentati da 18 litri pro capite del 1986 (non sono riuscito a trovare dati precedenti) a 35,5 litri pro capite nel 2021.
Nello stesso periodo i consumi di vino in Italia sono scesi da 68 a 40 litri pro capite.
Quando ho cominciato a lavorare nel mondo del vino, nel 2007, il consumo pro capite di vino in Italia era di 45 litri e la stragrande maggioranza degli operatori pensava che si sarebbe stabilizzato su quel livello.
Invece ha continuato a scendere e la cosa più preoccupante è il calo di consumatori di vino nei segmenti sotto i 40 anni di età, quindi non stiamo parlando di ragazzini, in tutti i principali mercati mondiali. Sia nei paesi storicamente forti consumatori come Francia, Italia e Spagna, che in quelli in cui il consumo di vino rappresenta un’abitudine più recente come U.S.A e Regno Unito.
I segnali che il problema derivi dalla percezione che questi segmenti di consumatori abbiano del vino in quanto tale si moltiplicano ed è un’opinione sempre più diffusa da commentatori ed analisti del settore in tutto il mondo.
E’ un problema che per sua natura può essere affrontato con successo solo attraverso un programma di comunicazione collettivo focalizzato sul prodotto vino, non basta la comunicazione di marca realizzata dalle cantine.
Tanto più nel settore del vino dove la piccola dimensione media delle cantine limita gli investimenti in attività di marketing e comunicazione.
Concordo in pieno con quanto scritto recentemente sul blog americano Vinography in un articolo a commento dell’ultimo report annuale della Divisione Vino della Silicon Valley Bank sullo stato del settore vinicolo U.S.A., che evidenziava la perdita di interesse nel vino dei consumatori under 40:
“Nonostante tutti i fatti e le cifre, tutti i freddi numeri freddi che indicano il fatto che l’industria vinicola statunitense è diretta verso un futuro infelice, una cosa in particolare nel rapporto sullo stato dell’industria del vino di quest’anno mi ha spaventato più di ogni altra e sembrava davvero il primo terribile rintocco che annunciava un futuro che nessuno di noi vuole vedere.
….
McMillan (NdA: la persona a capo della Divisione Vino della Silicon Valley Bank) e un gruppo di altri “pesi massimi” del settore si sono riuniti, hanno sollecitato impegni di 1 milione di dollari e hanno elaborato un piano per creare un comitato nazionale per il marketing del vino utilizzando lo stesso tipo di finanziamento del governo che ci ha portato a “Got Milk?” o “Beef, It’s What’s for dinner”.
Affinché quel piano andasse avanti, McMillan aveva bisogno che i produttori che rappresentavano oltre il 67% dell’industria vinicola (americana, N.d.A.) alzassero la mano e accettassero di pagare una piccola tassa per finanziare lo sforzo su base continuativa.
Ma alcuni dei più grandi attori dell’industria del vino hanno detto di no. E dopo un anno di pressioni, lusinghe, discussioni e suppliche, McMillan ei suoi colleghi si sono arresi.
Questa, amici miei amanti del vino, è la notizia più terribile che ho sentito sull’industria del vino da molto tempo.”
Il disinteresse da parte delle cantine americane è ancora più sorprendente considerando che una campagna di comunicazione collettiva durata una decina d’anni, realizzata tra la metà degli anni ’90 del secolo scorso e la metà degli anni 2000, ha raddoppiato il numero di consumatori settimanali di vino della Generazione X, che oggi hanno tra i 40 e 57 anni.
Forse i produttori americani avranno pensato quello che si sente dire spesso nel settore: man mano che le persone maturano lasciano bevande più “giovanili” e si avvicinano naturalmente al vino. Visione rischiosa e non confermata dai dati.
Concludo con una riflessione sui contenuti, perché pianificare l’investimento in comunicazione è la condizione necessaria per affrontare il problema della disaffezione al vino da parte dei consumatori, ma le condizioni sufficienti perché questa comunicazione abbia successo sono i contenuti ed il tono con cui vengono trasmessi.
Molto è già stato ben detto e scritto al riguardo. Io mi limito ad una sola raccomandazione, secondo me la più importante: dobbiamo smettere di trattare le persone con superiorità e condiscendenza.
O per dirla con la diretta efficacia dell’inglese: stop patronize them.