Lorenzo Biscontin
L’Italia è il Paese dei campanili anche nel vino, con una varietà della produzione enologica che non ha uguali in nessun altro posto al mondo.
Alla base di questa eterogeneità c’è il grandissimo numero di vitigni coltivati: nel 2021 se ne censivano 545, il numero più alto rispetto a tutti gli altri Paesi produttori e quasi tutti autoctoni.
L’elevato numero però non corrisponde automaticamente ad un’elevata diffusione, visto che negli ultimi 150 anni la composizione del vigneto Italia è cambiata profondamente. Il primo fattore di cambiamento è stato l’arrivo della fillossera americana alla fine del 1800. Questo insetto si introdusse in Europa attraverso l’importazione di barbatelle (le giovani piantine di vite) infestate nel sud della Francia nel 1858 e le prime segnalazione in nord Italia sono del 1875. Nel giro di 25 anni l’infestazione aveva già raggiunto 900 comuni e più di 350.000 ha ed al 1931 risultava infetta praticamente tutta l’Italia (89 province su 92).
L’unica soluzione efficace a questa vera e propria piaga che attacca le radici della vite portando la pianta al disseccamento, adottata a suo tempo fu quella di innestare i vitigni di vite europea su un portainnesto, o piede, americano che resiste all’attacco dell’insetto.
Questo ha portato quindi poco più di un secolo fa alla sostanziale ricostituzione dell’intero vigneto nazionale, dando luogo alla diffusione delle cosiddette “varietà internazionali”, ma sarebbe più giusto dire francesi, come merlot, cabernet, sauvignon blanc, chardonnay e pinot grigio.
In seguito poi le scelte agronomiche basate sulla produttività e quelle enologiche basate sullo stile ricercato nei vini, hanno ulteriormente modificato la composizione del vigneto italiano.
Il risultato è che oggi i primi 10 vitigni coltivati in Italia coprono quasi il 50% della superfice totale.
Moltissimi dei 545 vitigni italiani sono quindi rari o, addirittura, a rischio estinzione, mentre oggi più che mai rappresentano un patrimonio fondamentale per affrontare la nuova grande sfida affrontata dalla vitivinicoltura: il cambiamento climatico.
Questi vitigni rari infatti sono il frutto di un processo di adattamento secolare con l’ambiente e sono quindi sono quelli più resilienti agli effetti del riscaldamento globale. Si tratta quindi di una ricchezza sia dal punto di vista della diversità genetica che socio economica sulla cui tutela e recupero si stanno sviluppando attenzioni ed iniziative.
Alla fine dell’anno scorso l’ONAV – Organizzazione Nazionale Assaggiatori di Vino ha pubblicato il volume Vitigni Rari d’Italia che racconta 100 vitigni dal punto di vista ampelografico, ovvero dell’aspetto morfologico della pianta, storico, enologico e sociale. Con le attuali tendenze della domanda che vedono un interesse crescente nei confronti della varietà, originalità, identità, artigianalità e sostenibilità dei vini, i vitigni rari possiedono un interessante potenziale economico come dimostra l’esempio del Timorasso passato nel giro di vent’anni dalla quasi estinzione (3 ha) ad una Doc che produce oggi un milione di bottiglie.
Lo scorso maggio è stata l’associazione GRASPO – Gruppo di Ricerca Ampelografica Sostenibile per la Preservazione della Originalità e Biodiversità Viticola (nonché parola che in dialetto veneto indica il grappolo d’uva) a pubblicare un nuovo libro dal titolo 100 Custodi per 100 Vitigni, la Biodiversità Viticola in Italia.
GRASPO però ha fatto un ulteriore passo per il recupero di questi vitigni grazie all’accordo con il Consorzio Tutela Vini Colli Berici e Vicenza per la realizzazione di un campo-catalogo. Si tratta di un vigneto sperimentale di 500 mq che verrà piantato a Lonigo nel corso di questa estate e dove verranno messe a dimora circa 20 antiche varietà viticole, tra cui gambugliana, leonicena, pomella, quaiara, rossa burgan, denela e saccola.
Secondo Giovanni Ponchia, Direttore del Consorzio, “Oltre all’obiettivo di salvaguardare i vitigni ad altissimo rischio di estinzione, il campo catalogo vuole offrire un monitoraggio pluriennale per comprendere quali siano le varietà più adatte alle sfide climatiche attuali”.
“In un mondo dove solo 20 varietà contribuiscono all’80% della produzione in commercio a livello internazionale – dichiara Giovanni Leopoldo Mancassola, il vignaiolo-custode che seguirà il vigneto–, la nostra sfida è riscoprire antichi vitigni capaci di dar vita a vini contemporanei e sostenibili che incontrano il gusto dei giovani consumatori”. Il settore viti vinicolo sta attraversando grandi cambiamenti dalla produzione al consumo, nel rinnovarsi per affrontare un nuovo futuro è utile anche guardare al passato remoto.