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Viti antiche, nuove prospettive: il convegno della Old Vine Conference a villa Bogdano 1880.

Lo scorso novembre si è tenuta nell’azienda vitivinicola Villa Bogdano 1880 il primo convegno internazionale della Old Vine Conference, associazione non profit inglese fondata dai Master of Wine Sarah Abbott e Alun Griffith con lo scopo di valorizzare i vigneti antichi ed i vini ottenuti da queste viti.

La scelta di realizzarla nella cantina di Lison di Portogruaro di proprietà di Domenico Veronese non è casuale, visto che i 18 ha di vigneti storici ultracentenari di Villa Bogdano 1880 sono probabilmente la più grande estensione italiana presenti in un’unica azienda. Naturale quindi che dallo scorso giugno l’azienda entrasse a far parte della Old Vine Conference.

Il convegno ha visto gli interventi di Sarah Abbott, del professor Mario Fregoni, già docente all’Università Cattolica di Piacenza e Presidente Onorario dell’OIV e dell’agronomo friulano Carlo Petrussi che hanno dimostrato come le vecchie vigne non siano da considerare una reliquia del passato ma piuttosto un elemento fondamentale per la viticoltura del futuro.

Sarah Abbott ha sottolineato come le caratteristiche delle vigne antiche e dei loro vini siano poco presenti nella comunicazione del vino, ricordando come rappresentino un patrimonio a cui attingere per affrontare le sfide poste dal cambiamento climatico sia in termini genetici che di tecniche colturali.

Le viti storiche infatti si rivelano più resistenti alle condizioni climatiche sempre più estreme che sempre più spesso l’andamento delle annate sia perché intrinsecamente più adatte ai territori in cui vivono, sia perché richiedono la coltivazione con tecniche altrettanto antiche che rafforzano la loro naturale resistenza.

In altre parole le vecchie viti permettono di conservare e trasmettere una maggiore variabilità genetica ed una maggiore variabilità agronomica, utili per rispondere ai mutamenti del clima.

Il professor Fregoni ha iniziato il proprio intervento segnalando come la vita media degli impianti del vigneto continui a diminuire, oggi si aggira intorno ai 15-20 anni, e questo rappresenti innanzitutto un problema economico, considerato il costo di un nuovo impianto.

Tra le ragioni di questa minor durata si è concentrato sui fenomeni di rigetto tra le varietà di vitis vinifera, come ricordato l’unica specie coltivata, ed i portainnesti di vite americana resistenti alla filossera. Questa pratica si è affermata dalla metà dell’800 come soluzione all’attacco della filossera, un insetto di origine nordamericana che si è poi diffuso in tutti i paesi viticoli.

Attualmente l’innesto su “piede” americano, resistente alla filossera, è universalmente adottata per tutte le viti coltivate a livello mondiale.

Fregoni però ha sottolineato come la vite innestata su portainnesto di vite americana, oltre ad avere una vita più breve, sia anche meno resistente alla siccità. Ha quindi esortato a sperimentare e valutare altre modalità di lotta alla filossera (analisi dei suoli, irrigazione di sommersione, trattamenti con acido salicilico e jasmonico) per poter coltivare la vite su piede franco.

Dal punto di vista enologico il vantaggio delle vite vecchie è quello di concentrare nelle radici e nel fusto riserve di zuccheri, riserve che durante la fase di invaiatura vengono mobilitate a favore degli acini. Queste riserve permettono di avere uve che poi danno vini di maggior finezza ed eleganza.

Il dottor Petrussi ha invece evidenziato come la minor durata del vigneto sia legata anche a scelte economico-commerciali, estirpo di vigneti che non rispondono più alle strategie produttive dell’azienda per varietali per tipo di allevamento, ed agronomiche, vigneti che riducono la propria capacità produttiva o muoiono per l’invecchiamento.

Dal punto di vista agronomico particolarmente importante è la fase di impianto. Questo infatti è il momento in cui si creano i presupposti per la crescita di un apparato radicale esteso e profondo che permette alla vite di essere forte e longeva.

Con l’impianto meccanico delle barbatelle questo difficilmente avviene perché le radici seguiranno il solco laterale e superficiale creato dalla macchina.

L’approfondimento e l’estensione delle radici successivamente alla fase di impianto, viene stimolato anche dalle operazioni di scalzatura e rincalzatura, pratica normale nella viticoltura tradizionale, ma non più necessario in caso di diserbo chimico.

Una vite con un apparato radicale, esteso, profondo ed equilibrato nutre in modo uniforme tutta la parte aerea, portando una maggior resistenza alle malattie ed una qualità più omogenea dei grappoli. Ovviamente un apparato radicale di questo tipo rende la piante anche molto più resistente alla siccità, rispetto alle viti con radici superficiali e poco estese.

In un certo senso, ha concluso il dottor Petrussi, le pratiche agronomiche che si sono affermate dagli anni ’90 del secolo scorso “pianificano” vigneti con una vita più breve. Conservare e riproporre le tecniche tradizionali di coltivazione del vigneto quindi non ha solo lo scopo di preservare le viti antiche, con la variabilità genetica che rappresentano, ma anche di rendere più longevi i nuovi impianti.

Chi volesse approfondire i contenuti di questo interessantissimo convegno troverà la registrazione completa nella sala on-demand del nostro metaverso Vinophila.

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