Vinophila 3D Wine Expo - L' Expo per Vino, Birra e Bevande Alcoliche

ultimi articoli

Vendimi questa penna, applicato al vino.

“Vendimi questa penna” è una famosa scena del film “The Wolf of Wall Street” in cui il protagonista Jordan BelfortI, impersonato da Leonardo DiCaprio, invita i propri collaboratori a convincerlo ad acquistare una penna. Ci riuscirà chi creerà un bisogno invece di descrivere le caratteristiche della penna (per chi non conoscesse la scena e volesse rivederla la può veder qui su Youtube).

Circa un mese fa su Vinophila abbiamo organizzato un webinar per discutere come questo concetto possa applicarsi al vino, magari senza arrivare agli eccessi del film (che comunque racconta in modo sostanzialmente fedele una storia vera) ma sicuramente per ragionare sulle possibili alternative al modello di vendita basato sulla trinità vitigno, zona, metodo produttivo utilizzata dalla grandissima maggioranza delle cantine italiane.

L’abbiamo fatto con Adriano Aiello – agente e selezionatore di vini, Roberto Filomia – consulente e Alessandro Satin – Tendervino.it, nonché colui che ha lanciato la questione quando ha chiesto ad un po’ di persone del settore la differenza tra Champagne e Prosecco ed ha ottenuto sempre le stesse risposte, riconducibili alla trinità di cui sopra. E’ davvero tutto qui o ci può essere dell’altro?

La registrazione del webinar la trovate nella sala On-Demand del metaverso Vinophila (potete accedere da pc attraverso il sito vinophila.com o da smartphone scaricando l’app Vinophila dagli store).

Di seguito invece una sintesi ragionata della discussione.

Adriano Aiello rappresenta la categoria di coloro che vendono vino in quanto di vino sono appassionati e per i quali la passione viene prima della professione. Oggi è normale che chi lavora nel settore del vino, non solo nelle vendite, sia prima di tutto un appassionato, ma Adriano ha sottolineato come si tratti di una situazione relativamente recente, cominciata 15-20 anni fa. Situazione nata ed affermatasi all’interno dell’evoluzione che ha caratterizzato il mondo del vino nel suo complesso e basatasi sulla maggiore consapevolezza, cultura e conoscenza da parte del mercato degli aspetti produttivi e della loro influenza sulla qualità “enologica” dei vini.

In questo senso la vendita di vino nel canale horeca è un incontro tra appassionati e la condivisione delle caratteristiche, scendendo anche nei dettagli tecnici, diventa sia un confronto di idee ed informazioni, sia un modo per riconoscersi accumunati dallo stesso interesse.

Non a caso Satin, fresco dal recente Vinitaly, sottolineava l’impressione che molte conversazioni, tecniche, tra operatori avessero principalmente lo scopo di capire / dimostrare di appartenere allo stesso ambiente, elite, di esperti.

In questa logica e in questi contesti le caratteristiche del vino sono anche il benefit che soddisfa il bisogno del cliente.

Il punto è che l’ambito degli specialisti horeca ed enoteche è grande come numero di operatori coinvolti, sia dal lato delle cantine che da quello dei clienti, ma non è l’unico. 

Con i buyers della GDO, ma anche delle catene di enoteche / wine shops, ed importatori si parla più di business che di prodotto. In questo caso una proposta basata principalmente su vitigno-territorio-pratiche agronomiche ed enologiche-profilo organolettico del vino rischia di essere poco differenziante rispetto ai colleghi/concorrenti che si trovano nella stessa area. Di conseguenza nella trattativa il prezzo acquista un peso maggiore di quello che avrebbe se il prodotto fosse affiancato da una proposta di marca.

Una proposta di marca per rivolgersi in modo più ricco e differenziante non solo ai clienti / intermediari commerciali, ma anche ai consumatori finali. Tanto più importante nell’attuale società digitale caratterizzata dalla disintermediazione, cambiamento che giocoforza interesserà sempre di più anche il vino che rimane invece legato a concetti di vendita basati sull’intermediazione.

Ma quale potrebbe essere questa proposta di marca? Ovviamente dipende dall’azienda sia perché ogni situazione è diversa, sia perché deve essere differenziante.

Però altrettanto onestamente dobbiamo ammettere che sugli ambiti e modalità verso cui muoversi per definire una marca di vino troviamo più domande che risposte.

Da una parte ci troviamo con una stragrande maggioranza di piccole cantine che non hanno le risorse, innanzitutto umane, per sviluppare e gestire strategie di marketing. Dall’altra siamo troppo immersi nei meccanismi tradizionali per vedere strade diverse, o avere il coraggio di intraprenderle (come settore stiamo ancora discutendo della questione tappo di sughero / tappo a vite).

Magari questo deriva dal comportamento conservatore del consumatore italiano, ma siamo davvero sicuri che si tratta della causa e non dell’effetto di mancanza di proposte diverse da quelle classiche? E comunque la metà del vino italiano si vende all’estero dove ci sono consumatori che acquistano vini che si chiamano “19 Crimes”, “Cupcake Vineyards”, “Barefoot” o “Little Black Dress”. Per non parlare dei celebrity wines.

Allora forse ha ragione Roberto Filomia, la persona più esterna al mondo del vino tra chi ha partecipato al webinar, quando dice che gli “manca un pezzo”, che ci sono segmenti di consumatori, magari diversi da quelli attuali, disposti ad ascoltare nuove proposte di marketing, nuove tecniche di vendita che propongano modi di bere diversi, in momenti diversi.

Avremmo il coraggio di andare a cercarli?

Vinophila
Vinophila 3D Wine Expo - Il metaverso per Vino, Birra e Bevande Alcoliche

Latest Posts

spot_imgspot_img

Imperdibili