I primi furono i “supertuscan”, a metà degli anni Ottanta, realizzati con grande successo dai produttori per sfuggire ai rigidi disciplinari e creare nuovi vini più internazionali in grado di competere con Bordeaux e California. Poi arrivarono i “supervenetian” inventati da una sessantina di produttori veronesi per dare un’impronta diversa ai propri Valpolicella.
Adesso è l’ora dei “supervalpantena” dove, però, non si vuole puntare ad un vino più internazionale, quanto far capire il potenziale di un territorio sinora rimasto ai margini, prigioniero di un’agricoltura di montagna e quasi di sopravvivenza: ovini, bovini, sfruttamento del bosco, castagneti, ciliegi e poco altro. Del resto, la Valpantena porta ai Lessini, altopiano che unisce il territorio scaligero a quello berico ed a quello trentino, prevalentemente abitato da popolazioni cimbre che emigrarono qui dalle province germaniche nel Duecento. Un terreno calcareo, che non trattiene le acque, e dove è sempre stato difficile avviare produzioni agricole importanti.
Ma queste caratteristiche hanno preservato lo stesso terreno che registra oggi un tasso di materia organica superiore di ben quattro volte a quello che si registra nel resto d’Europa, ricco di ferro e di calcare. Si potevano creare vini importanti da un terreno così? E a questa altitudine, siamo mediamente sui 600 metri sul livello del mare?
La domanda se l’è posta Massimo Gianolli, imprenditore attivo nel mondo della finanza guidando una società quotata in Borsa, ma che su questo altopiano, a Grezzana, località Erbin, ha passato la sua giovinezza e dove ha sviluppato l’azienda avviata dal padre: “La Collina dei Ciliegi”.
La riposta è arrivata da due guru dell’agronomia e del territorio, Lydia e Claude Bourguignon che hanno scavato nelle profondità della tenuta – 68 ettari a corpo unico di cui 45 a vigneto – ed hanno emesso un verdetto molto lusinghiero: i suoli permettevano la coltivazione della vigna in condizioni ottimali per estrarre le migliori caratteristiche tanto di vitigni a bacca bianca che a bacca rossa attraverso una scelta attenta dei terreni; il rispetto scrupoloso delle tecniche di allestimento dei vigneti (nessuno scasso, nessun terrazzamento) e di allevamento delle vigne (alta intensità per accentuare la competizione fra le piante e costringere le radici a lavorare in profondità); dei vitigni impiegati.

La scelta di Gianolli è andata quindi su tre vitigni autoctoni – la Garganega per i bianchi, la Corvina ed il Teroldego per i rossi – supportati da due internazionali come Chardonnay e Pinot bianco. Ne sono nati i primi due “supervalpantena”: il Prea bianco, già alla seconda annata, ed il Prea rosso (Prea significa pietra da queste parti…) che debutta in enoteca quest’anno.
Due vini ricercati, lavorati con estrema attenzione, che puntano alla fascia alta del mercato – poche migliaia di bottiglie con un prezzo importante, 44€ nell’e-commerce aziendale – di grande profilo sensoriale che promettono una longevità importante ed un’evoluzione molto interessante. Soprattutto, che danno vita ad una nuova generazione di “superwines” e ad una valorizzazione diversa di territori sinora marginali dal mondo del vino…