Lorenzo Biscontin
Credo di seguire con una discreta attenzione le notizie e le discussioni che riguardano il vino italiano e, secondo me, le informazioni relative al rapporto tra gli italiani ed il vino contenute raccolte dall’analisi periodica Radar di SWG lo scorso settembre e diffuse lo scorso 23 novembre, non hanno ricevuto l’attenzione che meritano.
In un settore vitivinicolo storicamente carente di ricerche che riguardano il consumatore finale, i dati forniti da SWG rappresentano un necessario riferimento oggettivo rispetto alle opinioni espresse dai diversi operatori, spesso influenzate dal contesto in cui operano.
Questo link vi porta all’articolo del magazine on-line Genius Loci che riporta i grafici originali di Radar SWG.
Prima di entrare nell’analisi dei grafici è utile spendere due parole su SWG e sul rapporto Radar.
SWG è uno storico istituto italiano di ricerche sociali e di mercato (fondato nel 1981 a Trieste) e dal 1997 produce un osservatorio continuativo sull’opinione pubblica.
Radar quindi è una cosiddetta indagine omnibus, nel senso che non focalizzata su un unico argomento, ma affronta di volta in volta alcuni argomenti che riguardano l’opinione pubblica italiana. Per fare un esempio nell’ultimo Radar pubblicato (lo trovate sul sito della SWG) vengono analizzati i temi delle forze armate e servizio di leva, le frodi agli anziani, il fast fashion e le intenzioni di voto degli italiani. Per questo osservatorio SWG conduce più di 60mila interviste all’anno.
L’indagine relativa al rapporto degli italiani con il vino è il risultato di un sondaggio realizzato su un campione rappresentativo nazionale di 1.200 soggetti maggiorenni, comprendente anche chi consuma vino occasionalmente.
L’errore campionario quindi è del 2,9%, il che significa che leggendo i grafici due numeri sono statisticamente diversi tra loro solo quando la differenza supera i 6 punti percentuali. Per fare un esempio pratico, in questa indagine 11% e 31% sono due numeri statisticamente diversi, mentre 31% e 37% sono statisticamente lo stesso numero.
Ora la lettura dei dati
Il 42% degli italiani si può considerare un consumatore entusiasta di vino (“appassionato” 11%, “attento” 31%). Questa percentuale sale al 49% per gli uomini.
Questi consumatori rappresentano sicuramente più del 50% del mercato del vino in volume e, soprattutto, valore. Anche se non sappiamo di quanto, è evidente come sia cruciale per il vino oggi mantenere il rapporto con questi due segmenti.
Il 37% ha un atteggiamento “medio” nei confronti del vino mentre il 21% sono consumatori disinteressati: il 13% ha un rapporto “superficiale” e l’8% addirittura forzato, ovvero lo beve per adeguarsi alla situazione, ma non gli piace molto. La quota di disinteressati sale al 29% tra i 18-39 anni. E qui è altrettanto evidente di come sia necessario coinvolgere maggiormente la fascia di consumatori più giovani se si vuole almeno mantenere il mercato nazionale in futuro.
Attenzione prima di dare che è il gusto per ilo vino si sviluppa in età adulta e quindi è normale che i consumatori giovani siano disinteressati, perché la fascia 18-39 è parecchio ampia e comprende anche consumatori non proprio giovanissimi.
Gli elementi narrativi che più colpiscono l’immaginario sono quelli classici: territorio, italianità, cultura/tradizione, tecniche/metodi produttivi. Per chi ha 18-39 però i primi due sono nettamente meno efficaci rispetto a quanto non lo siano agli over 60. Informazione che conferma la necessità di utilizzare valori e linguaggi diversi per coinvolgere i diversi segmenti demografici del mercato.
Per i 18-39 anni risultano importanti anche il senso della scoperta e di viaggio nel gusto, ovvero l’esperienza sensoriale di consumo, l’ecosistema e la biodiversità da cui il vino nasce e l’essere biologico.
Quest’ultimo fattore è uno dei tre attrattori più rilevanti per il 16% del campione. E qui non capirò mai i moltissimi produttori di vino biologico che indicano la certificazione solo in retro-etichetta perché “io lavoro in biologico per fare vini più buoni e più sani, non per scelta di marketing”. Peccato che le stesse ragioni per cui tu fai vino biologico sono le stesse per cui i consumatori lo bevono, però nascondendo la certificazione gli rendi più difficile riconoscerti. Ovvero rendi più difficile per le persone avere uno stile di vita più buono e più sano.
La conoscenza di alcuni metodi produttivi è molto alta: il 68% conosce i “senza solfiti aggiunti”, il 65% il “metodo classico” e il 63% il “biologico” certificato.
Un numero così alto per una produzione di nicchia come il “senza solfiti aggiunti” è così sorprendente da fa sospettare qualche problema nella comprensione della domanda o nell’elaborazione dei dati. Sarebbe utile approfondire.
Anche per le altre tecniche produttive le percentuali appaiono elevate (es.: 37% per la biodinamica), ma comunque coerenti e compatibili con il 42% di consumatori “entusiasti”.
Le principali figure a cui affidarsi per farsi consigliare sul vino da acquistare sono ancora quelle classiche: Sommelier, Enotecario, Produttore.
I social sono all’ultimo posto di questa classifica con solo il 16% che ci si affidano totalmente+molto (per Sommelier il dato è il 48%).
Il segmento 18-39% mostra dati sopra la media per tutte le risposte, il che è logico perché con il crescere degli anni aumenta l’autopercezione delle proprie conoscenze, l’esperienza ed il consolidamento delle proprie preferenze, riducendosi così la necessità di un’opinione esterna per guidare i propri acquisti di vino.
Questa fame di consigli da parte dei consumatori più giovane è una grandissima opportunità per coinvolgerli, che non va assolutamente sprecata proponendo messaggi sbagliati, perché per loro poco rilevanti. La presenza in cima alla classifica di figure “personali” indica una richiesta di relazione interpersonale da parte dei consumatori. Si tratta di una lettura sicuramente corretta, ma prima di generalizzare sarebbe bello poter vedere come, e se, si differenziano le risposte in base all’atteggiamento entusiasta, medio o disinteressato nei confronti del vino.



