Per aspera ad astra, più che il motto degli aviatori italiani (“dalle asperità alle stelle” come già riportavano Virgilio e Seneca) sembra essere la rotta dei vignaioli italiani che, a fronte di un incremento delle temperature medie, stanno scegliendo sempre di più di avviare nuovi impianti in altura. Anche perché come evidenzia Luca Mercalli, presidente della Società Meteorologica italiana, la temperatura globale è aumentata di circa un grado nell’ultimo secolo e di 1,5°C in Europa occidentale e nel Mediterraneo. E’ come se un vigneto trovasse oggi le stesse condizioni di cent’anni fa 250 metri più in alto e 200 km più a nord.
Alzarsi sul livello del mare, così come riscoprire la vecchia tecnica della pergola, è una soluzione che permette di ridurre lo stress delle piante, evitare le scottature estive, ripristina una corretta escursione termica fra giorno e notte consentendo alle piante di lavorare meglio concentrando zuccheri e acidi. Risultato: uve migliori da portare in cantina. E vini più interessanti da mettere in tavola.
Ne sono un esempio questi tre metodo classico trentini che nascono proprio ad altitudini sino a pochi anni fa praticamente impensabili; una sorta di nouvelle vogue per necessità che permette però ai winelover di bere davvero bene. Eccoli:

- Maso Caliari, Ana Mora, extrabrut Doc Trento 2021
Siamo nelle Valli Giudicarie, nel quadrante meridionale-occidentale del Trentino. Una zona che ha sempre praticato un’agricoltura “basica”, lontana dalle grandi produzioni di successo del resto della provincia autonoma, ma che col cambiamento climatico sta conoscendo una crescita dei vigneti e della qualità che esprimono. Ubicato in un anfiteatro naturale che guarda a mezzogiorno, ad una altitudine di 630 metri slm, questo vigneto di chardonnay è stato impiantato nel 2001. Sino ad oggi ha garantito uve per uno dei top player della spumantistica atesina. 33 mesi sui lieviti, blanc de blancs, tiraggio nell’agosto ’22 e sboccatura nel maggio ’25. La produzione è ancora piccola garantendo un’attenzione certosina ad ogni fase della lavorazione.

Moncalisse, Millesimato extrabrut Trentodoc Riserva 2019
Ci spostiamo dalla parte opposta della valle dell’Adige e saliamo verso il Monte Calisio a nord-est della città di Trento. Qui, le due figlie della “regina” della viticoltura sudtirolese Elena Walch, Julia e Karoline, hanno acquistato una tenuta di 12 ettari, un corpo unico, a poco più di 600 metri d’altitudine, beneficiato da un microclima – grazie ad un regime di brezze unico – e da una composizione dei suoli particolarmente adatti alla produzione spumantistica.

I ceppi di Chardonnay sono quelli trovati nei vigneti originari della tenuta e la tecnica di coltivazione è la pergola trentina. Due i metodo classico prodotti, due Riserve con 56 o 80 mesi sui lieviti. Il Millesimato 2019 viene lavorato all’80% in acciaio e la aliquota rimanente in barrique usate dove viene svolta anche la malolattica.

- Ert1050, Trentodoc Brut
Scendiamo a sud, sempre lato orientale della valle dell’Adige, a Brentonico quasi sul confine scaligero, in una zona particolarmente ricca dal punto di vista botanico. Qui a 1050 metri di altitudine c’è il vigneto più alto di Ert1050, la sesta cantina avviata da Omniverse (ovvero Signorvino) che ha deciso di investire nella spumantistica atesina con una cantina totalmente nuova. Ert vuol dire, in dialetto, costa “a monte” . Anche in questo caso abbiamo nel bicchiere uno chardonnay in purezza che resta sui lieviti 24 mesi. Dei tre metodo classico testati oggi è quello più giovane e ne paga un po’ lo scotto in termini di complessità. Ma c’è da dire che proprio nei metodo classici, nella spumantistica di qualità, il savoir faire trentino è diventato “diffuso” e quindi un winelover assai difficilmente ne resterà deluso. La ricchezza di profumi, la perfetta coerenza al palato, di questo vino lo confermano.



