03 marzo 2022
(di Elisabetta Tosi) Sull’Appennino Tortonese, tra colli, prati e boschi, nella frazione S.Lorenzo di Pozzol Groppo si trova l’azienda “I Carpini”. Le vigne circostanti sono piantate a Timorasso, Barbera e altri vitigni rossi e sono condotte in regime biologico, anzi “olistico”, come tiene a precisare il suo proprietario, Paolo Carlo Ghislandi, “vignaiolo per scelta”. “I Carpini sono una biosfera che ha bisogno di essere ascoltata e capita per essere lavorata – spiega il produttore – . Rispettare la natura non significa esserne ossequiosi, vuol dire invece conoscerne limiti e potenzialità. Quello tra l’uomo e la natura è un dialogo tra entità perfettibili”.
Parliamo di vino. Come vede al momento il mercato del vino in generale, dopo due anni di pandemia?
“Anche se può suonare poco bello da dire, il periodo pandemico ha migliorato e non di poco il mercato, rendendolo più consapevole di quello che sceglie. Personalmente ad esempio, ho notato che i miei interlocutori post-pandemia sono molto più preparati e più umili di prima. Probabilmente durante i mesi peggiori del lockdown, quando eravamo tutti chiusi in casa, hanno avuto modo di informarsi di più, di approfondire le loro conoscenze sul vino. L’isolamento sembra aver indotto molte persone a sviluppare un proprio senso critico, al punto che adesso sembrano meno propensi a lasciarsi influenzare dal sommelier di turno, o dalla recensione del wine critic famoso. Anche priorità sembrano cambiate: le persone sono ancora più attente alla loro salute, alla qualità di quello che mangiamo e che bevono, e per uno come me, che da sempre lotta per la massima qualità, tutto questo è un’ottima notizia.
L’enoturismo è una grande risorsa, ma lo scoppio della pandemia l’ha congelato. Come vanno adesso le cose?
“Ci sono sempre più giovani interessati a conoscere il vino. Addirittura arrivano da me ragazze, da sole o con poche amiche; invece di farsi un giro di shopping, decidono di visitare la cantina, di fare degli assaggi. Forse è solo una moda passeggera, e forse no, lo vedremo con il tempo. Di sicuro è un inizio. Ed è una cosa che fa bene anche alle cantine, perchè finalmente capiscono l’importanza di saper fare accoglienza e di comunicare bene ciò che si fa”.
Come vede i consumi in Italia, nota qualche cambiamento nei gusti, o nella propensione alla spesa?
“Noto una maggiore propensione a investire in bottiglie di qualità, più attenzione e più conoscenza. C’è un desiderio diffuso di prodotti che siano sani e buoni, e che la loro produzione sia fatta all’insegna di quella sostenibilità che, temo, al di la’ del marketing, alla alla prova dei fatti solo in pochi facciamo veramente”.
Continua il trend positivo di vini da vitigni autoctoni/vini bio/ spumanti o qualcosa sta rallentando?
“I vitigni autoctoni, specie quelli rari, stanno riscontrando molto successo tra i consumatori, ma dato il tessuto italiano è imprescindibile legare la loro produzione ai territori di elezione. Per fortuna lo stanno capendo in molti”.
Dopo questo lungo stop a tutte le fiere del vino, in aprile finalmente tornerà Vinitaly: quali sono le sue aspettative?
“Francamente, penso che si sarebbe dovuto aspettare un altro anno, è ancora troppo presto. Vinitaly è la nostra bandiera, vorremmo tutti che fosse fatto al meglio. Ma da quel poco che ho saputo, la data non piace e il periodo nemmeno. Alcuni buyer esteri mi hanno già detto che non verranno, nonostante tutte le nostre rassicurazioni, da un punto di vista sanitario ancora non si fidano. Io a Vinitaly ci sarò, nello spazio della FIVI (Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti), è la nostra fiera, dobbiamo difenderla: ma avremmo voluto non farlo così. Temo che sarà ancora una volta un Vinitaly old school, come si è sempre fatto fino allo scoppio della pandemia, e che adesso non so quanto possa funzionare, perchè in questi due anni il mondo è stato stravolto. Ripeto: fare Vinitaly quest’anno è prematuro, perchè ci sono ancora dei Paesi-target importanti per le nostre esportazioni che hanno i loro guai con il Covid. E in queste condizioni, molti buyer dai magazzini ancora pieni di vino per la chiusura di locali e ristoranti non si sentono di fare scouting di nuove aziende”.
Dalle fiere reali a quelle virtuali. Pensa che il mondo del vino sia pronto a entrare nel mondo digitale?
Non so se il mondo del vino sia pronto, ma se esiste un nuovo spazio – chiamiamolo metaverso, Second Life, o quello che è – io non riesco a immaginarlo senza il vino, quindi … noi ci siamo.
Cosa può dare Vinophila rispetto alle tradizionali fiere del vino off-line?
Vinophila non è la mia prima esperienza digitale o virtuale professionale, e da queste esperienze ho sempre ricavato dei risultati, perciò sicuramente ne avrò anche da questa. Se non oggi, domani. Non esserci sarebbe sbagliato, anche perchè sarebbe un’ esperienza mancata. Forse non sarà l’alternativa per eccellenza alle fiere del vino come le conosciamo, ma di sicuro è un altro canale, che va a intercettare clienti che altrimenti non raggiungeresti mai. E tra questi ci sono proprio quei giovani che oggi passano buona parte del loro tempo nel mondo digitale.